lunedì 21 giugno 2021

A volte, è meglio dimenticare


 



Addie LaRue non è un brutto libro, né quella raccontata è una brutta storia: come per ogni cosa, non si riduce tutto a “bello” o “brutto” e, per me, non solo sarebbe impossibile farlo, ma sentirei di fare un torto a me stessa non parlandone approfonditamente.

Le mie aspettative su questo libro erano alte, inutile negarlo. Quando la Schwab, una delle mie autrici preferite, lo annunciò ero estremamente felice e profondamente incuriosita.
Avevo amato alla follia la trilogia di “A Darker Shade of Magic” (no spoiler, mi manca ancora l’ultimo libro, ma è in lista) e non vedevo l’ora di sapere di più sulla chiacchieratissima Addie LaRue. In rete non si parlava d’altro, è stato sulla mia home di Instagram per settimane intere. Tutti la amavano, prima e dopo la sua uscita.
La mia enorme curiosità mi spingeva sempre di più a leggerlo.
È stato in libreria per mesi e poi, finalmente, l’ho letto.

È necessario, però, fare un piccolo disclaimer: il periodo in cui ho letto questo libro non è stato sicuramente dei più felici, con poco tempo per leggere e pieno di cose da fare. Questo sicuramente non ha reso la mia lettura più facile e ha, ovviamente, avuto delle ripercussioni sulla scorrevolezza, ma cercherò di essere il più oggettiva possibile.

Non è facile, per me, scrivere questa recensione, sarò sincera.

Non so bene da dove partire: di veramente innovativo, in questa storia, non c’è poi molto.
Addie è una ragazza d’altri tempi, con una vita frenetica: vediamo la sua storia dipanarsi tra passato e presente, tra incontri e continue fughe. È costretta a vivere da esule, senza alcun tipo di legame, obbligata ad abbandonare tutto ciò che conosce a causa della sua maledizione: una vita immortale ma dimenticata non appena si distoglie lo sguardo.

La vediamo correre tra epoche diverse, incontri inaspettati e, soprattutto, mancanze.
La solitudine di Addie è una costante con cui si troverà spesso a dover fare i conti.
Nonostante la sua lunga esistenza, così amara e travagliata, dolorosa e triste, Addie è una figura intermittente nella sua stessa storia. Non sono riuscita a percepire la sua emotività. In alcuni punti l’ho trovata molto più “presa”, più calata negli eventi che vive, mentre in altri era completamente assente.

Alcune parti nella vita di Addie mi sono sembrate quasi dei riempitivi: non apportavano nulla alla trama, come se fossero lì per fare “numero” più che regalare qualcosa di concreto al lettore.
La struttura stessa del libro, anche a causa di questi momenti nella narrazione, risulta molto ripetitiva e rallenta un ritmo già di per sé abbastanza fiacco, quasi pesante in alcuni punti.
Non vi nascondo che sono stata davvero tentata di saltare alcune pagine, pur di andare avanti e finire questa storia.
Sicuramente non ho sentito la solita passione che avverto quando un libro mi prende totalmente: non mi sono sentita accolta.

L’essere dimenticati è forse la più grande paura del genere umano.
Tutti noi abbiamo il terrore che nessuno si ricordi di noi, di venire abbandonati, di non lasciare un segno: “La vita invisibile di Addie LaRue” parla proprio di questo.
Purtroppo, non mi sento di dire che la Schwab sia riuscita a lasciare un segno con questo libro.
È una storia che rimane in superficie, non si sbilancia: è quasi esteriore, non riesce ad entrare nel cuore del lettore. O, per lo meno, non è riuscita ad entrare nel mio.
Anche lo stile di scrittura non mi ha convinta al cento per cento: è più ricco ma, al contempo, costruito. Non ho ritrovato la genuinità della Victoria Schwab che ho sempre amato e questo mi porta a dire che “l’esperimento Addie LaRue” sia fallito miseramente. 

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