martedì 19 gennaio 2021

E' domenica

 


È domenica.

Una sonnacchiosa domenica pomeriggio di Gennaio, come tante e tante altre: fredda, offuscata dal sonnolento far niente, scura ancor prima che siano le sei di

Anche il crepuscolo è stanco, ha bisogno di dormire e riposare le sue ali fiammeggianti, lasciando il posto al tenue violetto e al blu profondo della malinconia.
Qualche nuvola sparsa continua ad addensarsi nel cielo.
Forse pioverà.
L’aria è carica di promesse, tutti si aspettano che l’acqua arrivi a lavare via tutta la stanchezza accumulata durante questa settimana, creando nuove strade e possibilità per questa città in attesa.

Dal pouf sotto la mia finestra si vedono tagli di calore in mezzo al nero: luci calde passano dai vetri delle finestre, che variano dall’ocra al più pigro arancio, chiuse contro la morsa del freddo tagliente di Gennaio.
Mille sfumature che si aprono su attimi di vita, trattengono il calore delle risate, della calma e della serenità della domenica.
Le luci dei palazzi tutte intorno sembrano venir giù come un temporale, spezzando la monotonia dell’oscurità che continua a calare.

Sono questi i momenti che amo.
Quando cala la sera e le case, i palazzi, si animano di vita.
Dall’esterno lo spettacolo di luci che si mostra ai passanti è meraviglioso.
Si può vedere la vita attraverso le finestre, piccoli attimi rubati di mondi completamente nuovi ed estranei. Le finestre ti lasciano entrare nella vita degli altri, anche solo per un secondo, mentre passi di sfuggita in autobus.
Sono porte che si aprono su universi mutevoli, che si lasciano accarezzare dagli sguardi esterni in movimento, attimi di quotidianità privati e condivisi contemporaneamente.
Il calore che si irradia da questi momenti scalda il cuore, lo rilassa.

sera.


In una finestra si può vedere qualsiasi cosa, basta avere uno sguardo abbastanza minuto ed attento da potersi avvicinare senza essere notati.
In una finestra si può vedere di tutto.
Dagli angoli più confortevoli della vita fino a quelli più frenetici.
Si può scorgere il momento esatto in cui tutti iniziano a sentire quel piacevole pizzichio di calore dentro, e se lo godono fino in fondo.
Lo assaporano, lo gustano, ignorando che domani sarà un giorno di lavoro, di studio, di nuovi inizi.
Si possono osservare fugaci baci rubati, momenti di complicità, sguardi.
Una cena semplice, preparata con amore; qualcuno che legge un libro nell’angolo più nascosto e protetto della casa.
Qualcuno che si prepara per uscire, qualcuno appena tornato, carico di buste e sacchetti della spesa, e saluta il suo gatto, unico compagno di vita, felice di essere rincasato. Qualcun altro in attesa, di chi non ci è lecito saperlo.

Si può capire quanto la quotidianità delle persone non sia poi tanto distante dalla nostra, quanto siamo tutti più simili di quanto la nostra convinzione ci porti a credere.
In questa quiete, in questo attimo sospeso e fuori dall’incessante vortice del tempo, un’auto, con i suoi occhi caldi e gialli, è sulla strada, scegliendo proprio il momento perfetto per poter tornare a casa.
Nella quiete di una domenica pomeriggio, fredda come solo le domeniche di Gennaio sanno essere, fuori dalle finestre il mondo si dispiega ai nostri piedi. È l’attimo in cui la vita si apre davanti a noi, intravista tra le tende, in tutte le sue molteplici e variegate forme; in cui tutti sentiamo di essere connessi, legati, uniti anche semplicemente dal fatto di star condividendo un singolo secondo di vita.
È il momento in cui tutti pensiamo che le cose possano cambiare, che il domani sarà migliore e si, anche che il futuro, domani, sarà nostro.
Oggi è solo una semplice domenica pomeriggio.




mercoledì 13 gennaio 2021

Piccoli corvi e grandi "magie"


 A Ottobre ho fatto un’incontro splendido, quasi fortuito direi, con una piccola ragazzina, nera come un corvo e con cui ho sentito subito una fortissima affinità.
Vi avevo già parlato di lei e di quanto mi abbia entusiasmato la sua storia.
Con questo nuovo volume, non solo l’ho riscoperta ma mi sono affezionata ancora più profondamente di lei e al suo mondo.
Morrigan si è insinuata pian piano nel mio cuore e ci è rimasta.

Questo secondo libro è, a mio parere, un altro grande successo per Jessica Townsend.
Al lettore vengono spalancate le porte non solo della misteriosa Woundrous Society ma anche della stessa città di Nevermoor: il worldbuilding si espande, colorandosi di sfumature bizzarre ed impensabili, mostrando a chi viaggia insieme a Morrigan angoli, tradizioni e luoghi leggendari, inediti passati segreti e costruzioni al limite del possibile.
Questo è uno degli aspetti che amo di più di Nevermoor: l’impensabile si nasconde sempre dietro l’angolo.
La città ti sorprende ad ogni passo, ti prende in contropiede con il suo essere caotica e ti affascina con il mosaico di meraviglie che l’autrice riesce sapientemente a creare.
Vorrei poter vivere anche un solo giorno in una città magica come Nevermoor, sono sicura che non mi annoierei mai.

Come vi dicevo, con questo secondo volume il mio amore per questa saga si è rinnovato ed ingigantito (soprattutto per Jupiter e Morrigan, che si riconfermano essere assolutamente i miei personaggi preferiti).
Solitamente i secondi capitoli non sono mai all’altezza dei primi, vengono considerati un po’ come “quelli di passaggio”: per la maggior parte vuoti e transitori.
Non è assolutamente questo il caso.
È un costante intreccio di avventure, ricche di colpi di scena e rivelazioni, in una tela che coinvolge tutta la città: Morrigan si troverà a dover fronteggiare un abile ragno tessitore, tra intrighi, raggiri e apparenze, in cui “buoni” e “cattivi” si mischiano e confondono e nulla è come potrebbe sembrare.

Ho apprezzato tantissimo il fatto che l’autrice abbia approfondito il non-visto, i vari “bernoccoli” dei personaggi e alcuni degli infiniti segreti di Nevermoor.
È stato fantastico per me scoprire qualcosa in più sulla Wunder, la magica forza che distrugge, costruisce e crea.
 È innegabile l’abilità della Townsend come creatrice di mondi e personaggi: la sua scrittura è fluida, semplice ed accattivante.

Morrigan è uno di quei personaggi con cui è impossibile non entrare in sintonia: per me è stato come specchiarsi, mi sono connessa con lei in un modo profondo ed unico. È una cosa che mi accade raramente, ma tra me e Morrigan si è creato un legame dal primo momento in cui l’ho incontrata.
Mi sono resa conto di quanto siamo simili, più di quanto mi aspettassi in realtà, e questo secondo capitolo non ha fatto altro che confermarlo.
Ho avvertito la sua forte necessità di appartenenza, il suo sentirsi diversa per una vita intera e finalmente, l’allettante possibilità di avere un posto unicamente per lei, in cui sentirsi accolta e a casa.
È poi c’è lui, fantastico personaggio nonché mentore migliore del mondo: Jupiter North. Io sono di parte, perché Jupiter è diventato una delle mie fortissime crush letterarie, ma è davvero un personaggio ben costruito: il suo rapporto di complicità con Morrigan è cresciuto e si è rafforzato e ho trovato splendido il loro legame.

In definitiva, questo non è solo un secondo volume meraviglioso, ma è anche uno specchio sulla vita: ti insegna che tutti abbiamo un nostro posto nel mondo, che seguire il nostro cuore per proteggere chi amiamo è di fondamentale importanza e che, spesso, l’apparenza non solo inganna, ma cela anche i più bei tesori che si possano immaginare.
Vi saluto pregandovi di leggere questa trilogia, perché non solo ne vale ampiamente la pena, è ben scritta, accattivante, coinvolgente e chi più ne ha più ne mette, ma ha un aspetto fondamentale, una marcia in più: c’è Jupiter!!!

domenica 10 gennaio 2021

Fantasmi e Cappuccino.

 Ho pensato tanto di cosa parlare in questo #writingmonday. 

Voglio che sia uno spazio per me e per voi, dove esprimersi, esporsi senza giudizi. Una pagina bianca e libera da ogni costrizione.
Per questo oggi ho deciso di raccontarvi una storia. 


“Non tutte le favole iniziano con “C’era una volta…” sapete? O almeno, non quelle che proprio "favole" non sono.
Basta aprire un po’ le finestre della vostra mente e ci sarà sempre qualche storia, qualche momento vissuto che vi parlerà, che vi ricorderà qualcosa di speciale.


C’è stato un periodo della mia vita che pensavo potesse durare per sempre.

È stato anni fa ormai, ma mi capita spesso di pensarci. Forse anche troppo spesso.
Erano momenti in cui credevo che nulla potesse scalfirmi, dove tutto andava per il verso giusto ed essere felici era semplice. Era normale la felicità, non solo dei raggi sporadici in mezzo a giornate grigie.

Erano giorni in cui non ero mai sola.
C’era un’altra parte di me, eravamo sempre insieme, non mi abbandonava mai.
Parlavamo tanto io e lei, costantemente, di qualsiasi cosa. Condividevamo ogni singolo momento delle nostre vite.
Ogni istante libero lo passavamo in compagnia l’una dell’altra, bastavamo noi.
Ballavamo come pazze, cantavamo a squarciagola, ci raccontavamo segreti e preoccupazioni.
Ci siamo fatte promesse, abbiamo creato rituali, dedicato canzoni. Ci siamo state.

Le piaceva leggere le mie storie, così scrivevo tanto. Ho scritto anche per lei, spesso.
Forse quelle pagine sono tra le più vere che io abbia mai buttato giù.
Era davvero una parte di me, l’unica che non avrei mai voluto sostituire, per nessuna ragione al mondo.
I nostri momenti insieme erano speciali e ancora oggi credo che lo siano.

Facevamo un sacco di progetti: passavamo dal parlare del giorno dopo a prometterci che ci sarebbe stato un futuro in cui avremo condiviso una vita.
Università, casa, nuovi posti da vedere, altri momenti nostri.
Effettivamente, a ripensarci adesso, guardavamo ancora più lontano di quanto potessimo permetterci.
Ma non importava: non avrei mai potuto desiderare altro nella mia vita.

È stato il periodo in cui pensavo che il futuro sarebbe stato meraviglioso e pieno di opportunità.
Erano momenti in cui mi sentivo utile, indispensabile.
Erano giorni dolci, felici, tranquilli, in cui ero consapevole del fatto che, se anche fossi caduta, non sarebbe stata la fine, ci sarebbe stato qualcuno a prendermi.
Una rete di sicurezza e qualcuno pronto per afferrarmi e stringermi la mano.
Qualcuno che mi dicesse che, comunque fosse andata, ci sarebbe stata.
Anche nei giorni grigi, anche quando il mondo sarebbe riuscito a far danni, sarebbe stata accanto a me. E io sarei stata accanto a lei.

Purtroppo mi dispiace dovervi dire che questa favola, amici miei, non ha un lieto fine.
Non vi racconterò com’è finita o per quali motivi, sarebbe troppo complicato e praticamente impossibile per me parlarvene.

Quella parte di me, a cui ero così intensamente affezionata, è semplicemente svanita.
Una nuvola che si disperde nel cielo. Transitoria. Evanescente.
Nessuno sembrava ricordare che ci fosse mai stato un legame tra noi, in realtà.
Quasi come se lei non fosse mai entrata nella mia vita.

A me di tutti quei momenti condivisi, delle risate, delle lacrime, dei cartoni a mezzanotte non rimane che un eco nel cuore che si affievolisce sempre più.
Una tazza di cappuccino istantaneo ormai fredda.
Delle foto.
Qualche messaggio.

Parole che ho dedicato.
E tanti ricordi sbiaditi.
Non ho niente di più di questo.

 A volte mi chiedo se tutto questo sia successo realmente o se sia stato unicamente un sogno ad occhi aperti.
È tutto così fumoso e confuso, che spesso penso di aver creato tutto da sola.
Non ho nulla che lei abbia dedicato a me, a parte qualche frase su vecchi diari.

Tutto ciò che rimane sono io e il fantasma di qualcosa che non esiste più.
Proprio come quando perdi un pezzo di te: non c’è più ma tu lo senti.
Questo è tutto quello che mi rimane: la sensazione di qualcosa che manca, proprio dove adesso c’è solo un grande vuoto.”

Condivido questa storia con voi oggi perché ho fatto una promessa a me stessa: quest’anno mi libererò da tutti i miei pesi.
Questo è quello che mi porto dietro da più tempo, a cui continuo incessantemente a pensare.
Non credete che non abbia provato a fare a menda, ad aggiustare le cose.
In questa storia non ho rimpianti, soltanto fantasmi che mi perseguitano.
È arrivato il momento di lasciarli andare.

mercoledì 6 gennaio 2021

I nostri "scheletri"

 


Da quando la mia strada e quella di Zerocalcare si sono incrociate non si sono più separate. 

"Scheletri" è la sua ultima opera, pubblicata il 15 Ottobre dalla meravigliosa "Bao Publishing".

Con il suo tratto indistinguibile, la schiettezza e l’ilarità che lo contraddistinguono, Calcare regala ai suoi lettori uno spaccato di due vite: un’adolescenza complicata, vissuta tra Rebibbia e la metro B, e un futuro incerto, dominato dall’ansia e dalla paura di rimanere bloccato mentre tutti vanno avanti senza di te.

Zero racconta quasi 20 anni di vita in un fumetto che unisce fiction e avvenimenti reali, sotto una luce completamente inedita: quella del noir.
Non conoscendo il genere, non posso affermare che quest’esperimento sia riuscito completamente.
Ma una cosa posso dirvela: Scheletri è uno di quei fumetti da recuperare assolutamente.

Parlare di un genio come Zerocalcare non è per niente un compito facile.
Quest’ultima opera si veste di tinte cupe e scure, tipiche di chi vive con un peso che non può (o non vuole) rivelare.


A diciotto anni non si sa mai con chiarezza cosa si è e tantomeno chi si vuole diventare.
Zero, attraverso se stesso, racconta la vita di milioni di adolescenti: incastrati in esistenze che qualcuno ha scelto per loro, indirizzati su percorsi che possano portare ad un domani sicuro. Che preferiscono mentire e continuare ad alimentare i propri mostri, a conservare gli scheletri piuttosto che deludere le aspettative di chi crede che quel tipo di vita sia l’unica possibile.

“Scheletri” è una finestra su vite diverse, percorsi che s’incrociano per caso e scelta. Perché, alla fine, per quanto il fato e il destino possano decidere per te, la strada che prendi è una tua scelta.
Zero è convinto del fatto che, in questa vita, “ […]nessuno cambia. Tutt’al più marcisce."  Ma sarà davvero così?

È stato interessante vedere uno Zero che si dimostra vulnerabile, che non ha completamente ragione, che commette errori ed ha paura di essere lasciato solo, di trovarsi indietro perché non riesce a rispettare i ritmi di una realtà che, intorno a lui, cambia e si evolve troppo velocemente.

È più crudo, diretto e schietto di quanto mi aspettassi. È anche più maturo e scava in profondità, con colpi allo stomaco che ti portano ancora di più ad empatizzare con i personaggi (che ormai conosciamo bene), a sentire ciò che provano e a capire che la vita, per quanto costellata da momenti meravigliosi, non è mai facile.

Questo nuovo volume ha segnato un solco profondissimo dentro di me: non solo l’ho divorato in poche ore, tutto d’un fiato, ma ho ritrovato molto di me nelle parole e nelle tavole di Zero.
Zerocalcare non si rivolge solo alla sua generazione, ma a chiunque si approcci alla lettura delle sue storie.
Le sue parole sono le nostre, le sue ansie, le sue paure, i suoi mostri…ci ricordano quanto tutti siamo simili.
La lettura di “Scheletri” è stata catartica, mi ha aiutato a liberarmi di ansie e pesi che erano radicati dentro di me e continuavano a crescere.

“Coi mostridentro invece funziona al contrario. Più ne parli, più entra l’aria. Più c’è ricircolo.
E i mostri soffrono poiché sono creature molto freddolose.
Se invece li covi, li tieni al caldo, senza far entrare nessuno…crescono.
E possono crescere tantissimo, fino a occupare ogni parte di me.”

Ho amato questa storia, non solo per la trama noir e il mistero di cui è intrisa che, pur non conoscendo il genere, ho davvero apprezzato, ma anche, e soprattutto, per il modo in cui Zerocalcare riesce a guardarti dentro e parlarti con sincerità.
Ogni volta che leggo qualcosa di suo, trovo sempre una storia, una frase, una tavola, che mi dice esattamente ciò che ho bisogno di sentire.

Questa storia ti insegna anche che i mostri, prima o poi, devono uscire, che gli scheletri non potranno prendere il posto dei vestiti per sempre: a volte è necessario soltanto prendere coraggio, avere qualcuno che ci stia vicino e vomitare tutto fuori. Anche se non è sempre facile.
Ma con i mostri dentro non si può vivere.



lunedì 4 gennaio 2021

"Lo dedico a me".


Di solito scrivo sempre qualcosa per la fine di un anno, una sorta di riassunto di tutto ciò che è accaduto, bello o brutto che sia. Mi aiuta a ricordare, a capire dove sono stata e dove sto andando.
Quest’anno non l’ho fatto.
Non so nemmeno io bene per quale motivo: forse perché ci sarebbe stato davvero tanto da poter scrivere su questo duemilaventi.

L’anno in cui ho finito il liceo e ho iniziato l’università.

L' anno in cui ho comprato casa e sono andata a vivere da sola in un'altra città. 

L’anno in cui ho avuto il coraggio di seguire un sogno, a tutti i costi.

L'anno in cui ho finalmente mi sento parte di un gruppo.

L’anno in cui tutto il mondo si è fermato, quasi che avesse smesso di girare.
L’anno in cui ci siamo ricordati che non siamo eterni e tantomeno invincibili.
Meno di dodici mesi per stravolgere miliardi di esistenze, tutte insieme.
A pensarci è ancora surreale.

Ma non ho scritto niente su quest’anno e non ho intenzione di iniziare adesso.
Ero partita convinta di voler raccogliere le mie speranze su questo 2021 ma, sapete, non ci riesco.
Non vorrei fare il solito elenco di parole vuote, che lascia il tempo che trova.
Io non ho delle vere e proprie speranze per questo duemilaventuno, anche se la speranza è sempre l’ultima a morire.
Le speranze, con il loro essere passivo, non sono ciò di cui sento di aver bisogno adesso.


In questo momento di assoluta e totale incertezza, io ho bisogno di obiettivi.
Ho bisogno di pormi dei traguardi da raggiungere, delle mete fisse, punti fermi in questa vita costantemente in movimento e troppo imprevedibile.
Sento la necessità di avere qualcosa di solido su cui basarmi, quest’anno, su cui lavorare ed impegnarmi. Sento il bisogno di mettere dei mattoni e di costruire, di creare qualcosa che duri e che non si lasci abbattere dagli eventi.

Quest’anno voglio lavorare su di me.
Voglio trasformare quella voce che sento costantemente ripetere “non ce la farai” e renderla un meraviglioso “guarda dove sei arrivata. Sii fiera di te”.
Voglio rendermi forte per non entrare in panico quando i problemi arrivano all’improvviso.
Voglio smettere di trasformare nell’Himalaya degli insignificanti granelli di sabbia.

Voglio imparare ad amare me stessa fino in fondo, nel modo più vero e profondo che esista.
Basta colpevolizzarmi e soffrire per ciò che non posso controllare.
Voglio smetterla di giudicarmi quando provo a fare cose nuove.
Voglio smetterla di controllare sempre tutto ed imparare a lasciarmi andare.
Voglio cominciare ad accettare i miei miglioramenti, per quanto piccoli possano essere.
Voglio imparare a riconoscere ciò che di buono c’è in me e non sempre e solo i miei sbagli.

Voglio circondarmi di persone che mi vogliano bene veramente e che mi sostengano.
Voglio eliminare quei fantasmi tossici dei “chissà se…”, delle occasioni perse, delle amicizie bruciate e dei perché che rimarranno per sempre senza una risposta.
E anche di tutte quelle persone che, probabilmente, non hanno mai creduto in me e smetterla di preoccuparmene.

Voglio arrivare al punto in cui sarò finalmente libera, perché saprò dentro di me di non avere niente da dimostrare.
Voglio arrivare a dire “sai cosa? Non mi importa”.
Voglio sentirmi fiera di me stessa e dei miei risultati, perché, quando arriveranno, saranno veramente miei.
Voglio che questo sia un anno di crescita, nonostante tutto ciò che accadrà.


Questo duemilaventuno lo dedico a me, e a nient’altro.
Perché me lo merito.

Una nuova canzone suona sul campo di battaglia.

  Amo la mitologia, da sempre. Ho avuto la fortuna di avere una nonna magica che mi raccontava storie di dei ed eroi, al posto delle solite ...